martedì 4 giugno 2013

the master


è un passo indietro rispetto al capolavoro there will be blood, uscito da noi come il petroliere e liberamente ispirato al libro "oil!" di upton sinclair (l'autore de la giungla, che vi raccomando più di oil). le pregevoli prove attoriali offerte da joaquin phoenix e philip seymour hoffman tendono ad essere fuorvianti, a far rimanere a bocca aperta distogliendo l'attenzione dal nocciolo: l'impianto narrativo è lento e nella seconda metà alcune lungaggini, complice anche l'assenza di svolte o colpi di scena, tendono a portare altrove lo spettatore, messo a dura prova da una narrazione altalenante che non affonda né in scientology né sui reduci di guerra e relativi disturbi né sul bisogno umano di una guida né sul rapporto morboso che si viene a creare tra predicatore e discepolo. certo, mi rendo conto che improntare il film interamente su scientology (il laido paglierino interpreta il guru della setta "the cause") avrebbe ridotto il tutto a cinema d'inchiesta, quindi affondando i piedi nella realtà e nella cronaca forse si sarebbe persa l'inquietante sfaccettatura del personaggio di phoenix e molto altro; invece, il dire e non dire lascia lo spettatore nel suo brodo dando il campo a varie interpretazioni. probabilmente anderson ha fatto la scelta migliore ed una risposta non ci sarà mai data l'impossibilità di una contro-prova, ma data la pesantezza della proposta e soprattutto della sua resa continuo ad avere quest'impressione.
paul thomas anderson, il regista, continua a mostrarsi grande direttore d'orchestra: lascia ampio spazio agli attori, che possono sfoderare tutto il loro talento, soprattutto phoenix dato che è l'unico personaggio cerebrale (ci tornerò poi), continua ad illuminare gli occhi grazie ad una fotografia rimarchevole, però, allo stesso modo, nonostante passino gli anni ed i film (boogie nights, magnolia, quella stronzata di ubriaco d'amore ed il già citato petroliere), continua a dirigere film narrativamente pachidermici e che necessitano di notevole sforzo. questo non vuol dire che da un momento all'altro dovrebbe spuntare ben stiller intento a scorreggiare e cameron diaz con un cabaret intenta a gridare: "chi vuole questi cheeeeeeseburger???": vuol banalmente dire che si possono comunicare le stesse cose negli stessi film risultando meno contorto, questo perché fare dell'arte non vuol dire essere per forza arzigogolati e complessi. ma non credo che con gli anni migliorerà la cosa, anzi.
infine sugli attori e sul ruolo cerebrale di phoenix: ho letto che il personaggio di joaquin è animalesco, materiale e non cerebrale, mentre il personaggio di p.s. hoffman sarebbe cerebrale dato che interpreta un intellettuale scrittore filosofo fisico nucleare predicatore saggio. chi lo ha fatto, sbaglia: in realtà, è esatto il contrario. anche in questo film, così come nel precedente, c'è il ruolo del figlio di giuda, cioè dell'impostore: questi sarebbe il biondo grassone. la sua è tutta menzogna, è una messa in scena, dunque di "profondo" non v'è nulla dietro il suo personaggio, dato che questi finge tutto quanto e lo fa perché in questo modo può evitare di lavorare (predica e basta) e soprattutto di bere, ballare, cantare, ubriacarsi e scopare a destra e a manca (la moglie se ne lamenta). phoenix invece è letteralmente devastato dalla profondità del suo personaggio, perché è un vero reduce di guerra, con un'infanzia tormentata (incesto), col rimorso per l'amore (l'ha lasciata, se ne è pentito, ha detto che tornerà da lei ma non lo fa), eccetera. il personaggio che ha sfaccettature, che ha realmente qualcosa da dire, che soffre e che rappresenta la condizione umana è uno; l'altro è fumo negli occhi e stop.