martedì 30 aprile 2013

argo


hanno creato il caso attorno ad un non-caso. trama: la CIA si mette in testa di far rimpatriare americani presenti in iran durante i tumulti della fine dei '70 e strizza l'occhio ad hollywood per darsi arie col pisello in mano col fine di fare incetta di oscar. io capisco che gli stati uniti abbiano bisogno di far passare gli iraniani come brutti, sporchi, cattivi e soprattutto stupidi; io capisco che la CIA e gli ebrei abbiano sempre bisogno di inventarsi i nemici quando i nemici non ci sono; capisco anche l'urgenza di arginare il subconscio che fa sentire autistici dandosi pacche sulle proprie spalle a suon di oscar per contrastarlo, però i fatti sono andati così: la CIA ha speso mesi di lavoro e milioni di dollari col fine di far rimpatriare uno sparuto numero di ostaggi in iran. tutto il gruppone numerosissimo di ostaggi rimasti lì sono tornati a casa pochissimo tempo dopo grazie alla diplomazia, e senza l'ausilio dei supereroi.
quest'ennesima dimostrazione di celodurismo americane mi ha rammentato un fatto passato alla storia che definisce i confini della grandeur americana: gli americani tanti anni fa non sapevano come fare per scrivere nello spazio con le penne, poiché a gravita zero l'inchiostro naturalmente non sta fermo, forma palline "in aria" e la penna non scrive; così hanno rubat speso decine di milioni di dollari ardimentandosi nell'ingegnare una penna con dell'inchiostro in grado di resistere alla forza di gravità, e sventolando bandiere quelli di houston ci sono riusciti, ché loro se hanno un problema stanno a testa bassa sin quando lo risolvono. i russi nello spazio hanno portato le matite. questo è argo.

the expatriate


non è nemmeno riuscito ad uscire al cinema in italia, tanto era brutto. molto spesso, infatti, sono dell'opinione che i distributori facciano bene a fare uscire quasi solamente stronzate: le produzioni "alte" fanno 7 spettatori a serata nella prima settimana, quindi ha poco senso; nondimeno un altro fatto è che la maggior parte dei film "alti" si possono tranquillamente vedere sul divano, data l'assenza di effetti speciali.
in questo caso, però, non si è dalle parti del cinema autoriale, bensì siamo dalle parti di harrison ford negli anni '90, ovvero negli anni in cui era un capo, una sorta di ibrido tra mcgyver e l'uomo che fuma di x files, però bello e carismatico. aaron è tutto questo, solo il film è stato generato random dal generatore di film thriller presente nel sito ashlyjuddisrunning.com. ad aggravare la situazione la presenza della figlia: aaron eckhart non la lascia mai sola per paura che le possa accadere qualcosa, quindi se la porta con se nella guerriglia urbana a caccia/cacciato di/da agenti segreti, trafficanti, sailcaso. giusto, mi pare logico.
così come sia altrettanto logico vedere la figlia che, dopo che il padre le ha salvato la vita tipo quaranta volte, gli sbraita contro: "ma quindi tu eri un agente segreto e non mi hai detto nulla? basta me ne vado non ti parlo più". se lui l'avesse presa, immersa fino alla testa nel cemento e poi se ne fosse andato a sterminare il mondo: tanto di cappello, il film sarebbe stato un capolavoro poiché avrebbe empatizzato con l'attore (la figlia nel cemento), invece così si faceva il tifo per i cattivi, sperando che anche sbagliando e non colpendo con degli spari a lui, si potesse colpire lei. e invece niente, tarallucci.

viva l'italia


massimiliano bruno è l'intellettuale brillante e sagace che c'è dietro pellicole del calibro di: notte prima degli esami, capace di rievocare un gus van sant più plumbeo; notte prima degli esami oggi, capace di rievocare un gus van sant più attuale; questa notte è ancora nostra, degno successore dell'impegno civile di robert redford; ex, in cui chiaramente riecheggia il lavoro di umberto eco; tutto l'amore del mondo, forse il capolavoro, in grado di ovattare l'opera di peter greenaway riuscendo nell'impresa di renderla sempre presente ma quasi mai percettibile, facendo palpitare come dinanzi un sonetto di walt whitman; maschi contro femmine e femmine contro maschi, in cui ken loach ruggisce e rivive grazie alla messa a fuoco del sessismo e della lotta di classe; infine, ultimo ma non ultimo, nessuno mi può giudicare, sul quale ho già dato, ma mi sento di aggiungere che riconosco i debiti verso il nume tutelare rosi, altro autore, oltre a martellone (pseudonimo di bruno per gli amici), di cinema autoriale.
credo che pellicole come questa siano più dannose di tutti i cinepanettoni della storia dell'umanità, perché oltre a non far ridere hanno l'aggravante non da poco d'essere un coacervo d'ipocrisia fino al midollo: si ergono a cinema impegnato ed autoriale (fate caso alle interviste di questa gente, sono esilaranti!), invece di limitarsi a far vedere scalzacani che dicono parolacce intervallandole con questa o quella tetta, salgono senza alcun briciolo di pudore su di un piedistallo ed iniziano a puntare il dito contro il (presunto) marcio del belpaese, come se loro avessero la coscienza a posto per poterlo fare, come se loro fossero diversi, come se loro fossero senza macchia, e soprattutto come se loro fossero in grado di farlo. massimiliano bruno ha sbagliato mestiere, ed il fatto che la gente vada a vedere le sue cose conferma nulla: gigi d'alessio vende milioni di dischi, eppure artisticamente parlando non vale più di burial (che non conosce nessuno). quando mi perdo in lodi sperticate per husker du, slayer e sonic youth pochi sanno rispondere (oddio, sugli slayer sì, ma non è questo il punto), mentre chiunque conosce biagio antonacci; il capitan ovvio conferma che non per questo biagio sia più valido o sia in qualche modo in grado di scrivere una canzone (punto), o una canzone degna non di leonard cohen ma semplicemente di tenco, o diversa dall'unica che reitera di disco in disco da quando ha iniziato la sua carriera (io e te, una volta insieme; mi ricordo quelle notti sul divano... se potesse parlare... ahhhh, aaaaah... [ennesimo giro di do] ti sento dentro perché non ho paura / ti sento dentro nella mia stanza buia / ti sento dentro perché sei pura / ti sento dentro, sì, ti sento dentro),
si tende a considerare queste pellicole "migliori" dei cinepanettoni di de sica perché più "impegnate", ma in realtà è il contrario perché sono insultanti e soprattutto non fanno ridere né intrattengono.

babycall





torna lisbeth salander e stavolta si mette a recitare, e devo dire che lo fa anche discretamente. per metà del film non si capisce bene se siamo dalle parti della storia di anna maria franzoni, o di chissà cos'altro, perché il film tende a mescolare un piano temporale, diciamo la realtà, ad un altro passato, ad un altro, è qui la "chicca", diciamo così, immaginato. l'idea di partenza non è affatto male, così poi dopo la visione ho fatto caso al nome del regista: infatti, è quello di naboer, film in italia inosservato, ma che consiglio; purtroppo l'idea non viene sviluppata decentemente ed il film è un po' troppo esile: fin quando non si capisce di che razza di film si tratta, il giochino regge, ma non appena l'arcano viene svelato il film si rivela esile ed il regista non riesce a tenerlo in piedi come si conviene, continuando a mantenere alta l'attenzione, anzi ad una certa non si aspetta nient'altro che la fine sperando che chi deve morire muoia al più presto, così la si fa finita. magari avere a disposizione un budget ridicolo avrà influito sul film, mica no, però inserire delle sottotrame ed anche il darsi da fare di più nella regia non avrebbe fatto male. diciamo.

lunedì 29 aprile 2013

l'uomo con i pugni di ferro


RZA è un negro rap che dovrebbe limitarsi a fare musica e non imbarcarsi in imprese registiche. ognuno di noi ha diritto ad avere qualche hobby, ma non per questo dovremmo attardarci nel cercare di farla diventare una professione. la stronzata era ampiamente prevedibile, certo, me ne rendo conto, ma la presenza di un mostro come russell crowe mi aveva fatto credere che forse qualcuno era riuscito a coinvolgerlo, sì in una stronzata, ma con dei dialoghi divertenti, con un buon ritmo e con una sana dose di mazzate, magari non troppo prevedibili. invece, l'unica cosa che c'è sono sì le mazzate, ma sono ampiamente prevedibili e non c'è mai un guizzo, niente, nulla. un ragazzo di 14 anni con un'insana passione per questo genere di cose avrebbe sicuramente fatto meglio, perché RZA manca totalmente di verve, inventiva, fantasia, voglia di fare e stupire.
il risultato è una bolsa imitazione spastica dei film di lotta asiatici degli anni '60, con questo beota di un negro rap alla regia e con russell crow grasso ed ubriaco sul set, probabilmente ingaggiato a base di alcool, droga e puttane. eppure, ne ho la certezza, avrebbe potuto ottenere lo stesso tipo di compenso anche lavorando altrove. lavorando, magari.

domenica 28 aprile 2013

killshot

non che il romanzo di elmore leonard, da cui è tratta questa roba, sia la lettura più divertente della terra, ma di certo è più riuscito di questa robaccia. non mi interessa tanto il questionare sui cambiamenti rispetto al libro, quando alla visione d'insieme: il film è bolso, è una stronzata, fiacchissimo, girato male e con una gestione dei tempi e delle battute che è pessima. certo, direte voi: il regista è john madden! ovvero un senza nome incapace, miracolato, capitato lì per sbaglio. in carriera, se così la si può chiamare, è inciampato per sbaglio in la mia regina, poi shakespeare in love, la prova, il debito e marigold hotel; insomma, passa di palo in frasca non tanto nel senso dell'incoerenza, quanto nel segno de bisogna pagare le bollette altrimenti si cena romanticamente al buio ergo giro quello che capita. a dire la verità il cinesino, joseph gordon levitt, l'impegno ce lo mette ed ogni tanto fa sorridere, però il film è e rimane fiacco e le risate sono a denti stretti, a differenza di quanto accade nel libro.

marigold hotel

torna john madden dopo il successo di critica ed appena discreto al botteghino il debito. il genere stavolta è quello a lui più adatto: cinema adatto per digerire la cena. il marigold hotel è un edificio che india ospita gli inglesi della terza età, fino al finire dei loro giorni. il film esce in inghilterra ed esorta le sfingi a buttare dagli indiani i loro risparmi, dunque l'india rappresentata è quella ampiamente conosciuta attraverso i cliché reiterati delle pubblicità, nulla di più di un abbozzo della realtà, con tanto di discussioni di famiglia col figlio che vuole sposare la ragazza che ama ma la madre non glielo permette sino a 1 minuto dalla fine, quando inspiegabilmente e senza apparente motivo cambia idea, anche se poi il motivo in realtà c'è eccome: sta per finire il film! manca un minuto soltanto! deve affrettarsi a sorridere e dare la sua benedizione! presto, inquadrate dei fiori!
comunque, non è un dramma, anzi è esattamente prevedibile: questa è una commedia e più che analisi sulla terza età è uno spot patrocinato da qualche assessorato, dunque la trama dev'essere quella che è, con i soliti mille mila happy ending di tutti i personaggi, ed i personaggi sono appena tratteggiati, ovvero tutto ampiamente prevedibile e volto a rispettare la missione da compiere, però a questo punto non si spiega la presenza del parterre de rois coinvolto: la crema dell'attorialità britannica, della terza età. a me stupirebbe vedere un mostro sacro del cinema italiano, per dire, recitare in una roba del genere, che non è altro che una versione diluita in 2 ore di uno spot sull'india, come potrebbe esserne uno della vodafone o, ancor meglio, della polident. per altro tale spot è anche fatto male e non rende a dovere gli omaggi all'india che bollywood solitamente tende a raccontare, ed infiocchetta il prodotto non come avrebbe dovuto, ma questo credo sia dovuto a john madden: il regista non è capace. spero per i grandi attori coinvolti che si stiano godendo i soldi di questo film, perché a me verrebbe la gastrite a prestarmi a cose del genere.

sabato 27 aprile 2013

zero dark thirty


ebrei, addetti ai lavori e giurie prezzolate non devono avere molto a cuore james cameron quando esce con il film più importante dell'umanità ogni qual volta ne realizza uno, incassando per altro miliardi di dollari; all'uscita di avatar dovrebbe fare incetta di oscar perché la pellicola era l'unico evento dell'anno, ma all'academy la bile travasa e go go ripikka: the oscar goes to the hurt locker, già in concorso l'anno precedente, "film" parossistico privo di trama, dai tratti documentaristici, dell'ex-moglie bigelow. non solo non vince james, ma vince la sua costola, colei che lui ha raccolto dal fango ed ha plasmato e reso cerebro pensante. non è un caso che i migliori film della bigelow siano arrivati quand'era sposata con cameron. infatti, tendo sempre a ricordare che il regista di strange days e point break sia james bigelow, un grande regista. prima e dopo, lei, ha diretto sempre e solo pattume. dopo l'oscar, chiaramente, per qualche anno camperò di rendita come è accaduto a chiunque nella storia, così la CIA ora le commissiona questa buffonata. secondo quest'opera di fantasia, non hanno preso bin laden estorcendo confessioni mediante la tortura, bensì grazie alle intiuzioni sagaci della roscia presente ne il debito (film patrocitato da ebrei in cui degli ebrei e la CIA cercavano gerarchi nazisti per portarli in israele: sono solo coincidenze), e poi alla fine si solleva una piuma bianca nel cielo, parte l'assolo di violino, houston il problema è risolto, applausi, god bless america, lacrime, fade out. dalla striscia di gaza le caprette gli fanno ciao. attendiamo la stesura finale della sceneggiatura king jong-un esci le bombe se hai coraggio e ahmadinejad nun te temo, sempre affidate alla sapiente regia di una coraggiosa e demogratica bigelow. 

venerdì 26 aprile 2013

...e ora parliamo di kevin

siamo dalle parti di bowling a columbine, elephant, haneke, anna maria franzoni ed erika & omar. a differenza di tutte quelle pellicole e registi, qui i fronzoli non ci sono o son quasi assenti, si bada al solito e non ci si dà arie, tranne che per la scena iniziale della tomatina a buñol, degna di un regista esordiente prodotto da mtv. il tema è quello che è, dunque si rischia spesso di risultare noiosi e pedanti, quindi è comprensibile la scelta della regista di usare due piani temporali col fine di diluire il tutto senza annoiare troppo, e la scelta è giusta.

giovedì 25 aprile 2013

il lato positivo


david o. russell dopo the fighter continua a parlare di persone distrutte da varie cose, droga, fama, alcool, affetti, dalla vita, solo che qui cambia alcune cose: non il finale, perché questi filmini carini finiscono sempre bene, ma l'involucro; il precedente era drammatico, le persone erano brutte e dicevano cose sgradevoli, non era gente con cui trascorrere volentieri il tempo insieme; questa è una commedia romantica e i due distrutti uniscono i pezzi per arrivare a stare bene. ho apprezzato l'onestà: david lo dice chiaro e tondo che c'è bisogno di positività, delle favolette e quindi di sognare, per questo getta dalla finestra hernest hemingway e william golding, ché lui ha speranza nel futuro e vuole stare (bene in salute) con la donna che ama. apprezzo l'onestà intellettuale, ma meno il risultato: alla fine, si inventassero quello che vogliono, si dessero tutti le arie che vogliono, ma questo è un filmetto con tante lucine e fiocchi d'orati in cui non avrebbero affatto sfigurato jennifer aniston e ben stiller, se mi seguite e capite a cosa voglio alludere; queli attori hanno già partecipato a pellicole di questo genere con tanto di risvolti psicologici, struttura e sfaccettatura, eccetera. nondimeno, de niro qui come al solito recita, per così dire, il ruolo del pagliaccio come in quelle cose tipo mi presenti i tuoi e ti presento i miei. si potrà parlare di autorialità, ci potrà essere tutta la voglia di normalità e cercare di sopravvivere in questo pazzo, pazzo mondo, ma stringi stringi è una rom-com strutturata discretamente e piena di cazzatine utili a digerire la cena. tra l'altro, questa roba starebbe perfettamente al suo agio all'interno di quella pagliacciata del sundance festival, mentre the fighter no. ciò nonostante, a patto di non sopravvalutare questa roba, mi sentirei di consigliarla a chiunque perché è, appunto, un'iniezione di positività (per chi ne avesse bisogno). bradley cooper, comunque, è quello che si è impegnato di più: si vede lontano un miglio che c'ha creduto parecchio; jennifer lawrence e gli altri anche, ma un po' meno. qualsiasi premio a chiunque in questa pellicola è regalato.

mercoledì 24 aprile 2013

quello che so sull'amore


uscirsene con un titolo con lo strillo AMORE sicuramente ha portato qualche milione di € in più in tasca ai distributori e col senno del poi, dato che playing for keeps, il titolo originale, il cui senso è ovviamente del tutto diverso, è stato un flop, io li capisco anche. ah, non voglio continuare nel 2013 i discorsi sulla scelta italiana di tradurre i film stranieri, quindi amen.
questo è il peggior film di muccino perché banale, scialbo, con dialoghi sgonfi. la cosa triste è che lo si intuiva benissimo già dal trailer, non c'era bisogno di guardarlo. lei lascia lui perché irresponsabile ed eterno peter pan (...), lui ci ripensa e cresce (...), catherine zeta jones gli dice: "dai scopiamo, ma voglio solo scopare eh, non voglio coinvolgimenti" e lui dice "NO, non posso fare queste cose: DEVO CRESCERE", poi quando lei sta lì lì per salire sull'altare si mette a piangere, ci ripensa e torna col marito. tutto sempre prevedibilissimo, e dura anche troppo.
non è affatto un caso che questa stronzata in america sia stato un flop pazzesco: è scritto malissimo, i personaggi sono vuoti, piatti, bidimensionali ed inutili; un conto è se prendi degli attori sconosciuti e gli fai fare particine senza senso, ma vedere dannis quaid, uma thurman e catherine zeta jones sviliti in quei personaggi fa letteralmente cadere le braccia. e non ci si piega il perché, dato che sono tutti attori che attualmente lavorano, dunque non avevano bisogno dei soldini con la particina; capirei un attore caduto nel dimenticatoio, ma di certo non loro.
le rom-com sono una cosa seria, un genere degno di rispetto se lo si sa far bene; non è detto si tratti di stronzate per ragazzine ritardate, o almeno: non è detto in partenza. è un genere nobilissimo, che vanta scrittori come neil simon, tanto per dirne uno. ma questo genere, che ha detto davvero tutto ed è stato sviscerato fin troppo, per funzionare deve avere una cosa, soprattutto: i dialoghi. premettendo che questo genere di film rientra perfettamente nelle descrizioni: "film telefonato", proprio perché si sa benissimo che alla fine la coppia si mette nuovamente insieme salvo avere verso i 3/4 il litigio, lui che cammina da solo al buio e/o sotto la pioggia e/o guida di notte (correndo molto), l'unico modo per tenere il film in piedi è scrivere dei dialoghi potenti, cosa che qui non accade: davvero, uma thurman e gli altri attori tendono a fare pena, ti dispiace per loro che debbano aver dovuto pronunciare frasi così stupide. il livello è da fiction su rai uno, solo con una fotografia nettamente migliore.

broken city

torna allen hughes, un negro che di solito lavora insieme al fratello gemello, dopo il precedente codice genesi. il passo indietro è notevolissimo: broken city è il classico thrillerone politico che andava di moda negli anni '90; di solito le tipologie erano due: in una ashly judd era perseguitata dal mondo ad una certa smadonnava e spaccava tutto, nell'altra tipologia c'era harrison ford che spiava o veniva spiato dalla cia ed in giacca a cravatta si destreggiava nell'azione. a volte, quando harrison ford era occupato in un film del genere, veniva sostituito in un film del genere da michael douglas, tanto alla trama bastava aggiungere il tentativo di uccidere la moglie per non pagarle gli alimenti. dopo quasi 20, però, queste pellicole lasciano il passo e arrancano. nel ruolo del cattivo c'è russell crow, che magari nelle intenzioni dovrebbe sembrare spietato e cattivissimo, ma impallidisce dinanzi i politici che ci sono (ovunque eh, non è una crociata da zecche del tipo: "solo in italia succedono queste cose!!") nella realtà, senza contare che pochi anni fa abbiamo avuto persone che mettevano nel forno altre persone per lavarle col gas, quindi il gladiatore forse è "cattivo" rispetto ad una bambina che gioca in giardino e senza volerlo calpesta un'aiuola, ma avendo uno sguardo tanticchia più ampio sull'umanità di cattiveria se ne rintraccia poca, quindi morde poco.
a completare l'opera di sfrangiamento delle gonadi ci ha pensato la sottotrama: mark wahlberg tollera i froci ma a distanza da lui, però ad una certa uno di loro piange, quindi si intenerisce, cambia idea ed in fondo i gay vanno bene e meritano rispetto, mentre invece i colletti bianchi di wall street ed i palazzinari aumma aumma con le banche sono il male, w i gay. a questo punto viva edison city.

martedì 23 aprile 2013

7 psicopatici


martin mcdonagh all'esordio, in bruges, aveva stupito piacevolmente un po' tutti: il film era divertente ed aveva un senso. alla seconda prova azzarda il passo più lungo della gamba e stuipisce negativamente: il "film" è un po' divertente e non ha senso. il problema di approcci del genere è che si sconfina troppo nell'autoreferenzialismo; lo chiedi a loro e ti parlano di coerenza, ma tu che li scruti con attenzione noti semplicemente testardaggine.
se riesci a girare un film plausibile allora catturi lo spettatore, ma se i personaggi guardano in camera, si recitano addosso, lo sceneggiatore del film si prepara le piste d'atterraggio in anticipo, i personaggi una volta morti tornano a parlare per alcuni secondi al cane ("qua la zampa, dai la zampa", il cane dà la zampa e "muore" di nuovo) allora allo spettatore non resta altro da fare che allontanarsi da certe stronzate per adolescenti: il cinema è una cosa seria. far ridere è una cosa seria, serissima: non fatico a credere che i numi tutelari della risata italiana, praticamente gente che ora è morta (non solo artisticamente), ho la certezza che reagirebbero con sdegno dinanzi certe scene.
il cinema surreale/demenziale/grottesco va affrontato con maggiore rigore: persino tarantino, un uomo artisticamente finito, anche nel 2013 è più in salute di mcdonagh e riesce a rimanere plausibile e credibile nonostante si adoperi, divertito, con inscenando le stronzate più astruse. potrei citare i fratelli cohen che con i personaggi idioti ed il demenziale ci hanno costruito una carriera e sono sempre riusciti a rendere le loro storie credibili (riuscite o meno, è altra cosa, ma sono credibili). se la premessa di base invece è l'assoluta mancanza di credibilità, il fatto che si vorrebbe essere dalle parti di tarantino ma di fatto si è dalle parti delle scenette dei monty python (se mi state dietro riguardo quel che voglio dire), cioè con macchiette il cui senso è esser lì per far ridere in barba alla plausibilità, allora il film si smonta da solo.

lunedì 22 aprile 2013

i bambini di cold rock


ho visto the tall man, il titolo originale, non sapendo che il regista fosse pascal laugier. "regista" che detesto, e considero mediocre, a tal punto da non aver la minima voglia di parlarne per demolirlo dettagliatamente; mi disgusta troppo, non ce la faccio proprio. se avessi saputo che il regista era quello di saint ange, l'esordio, e soprattutto martyrs non avrei guardato questa stupidaggine insulsa e ridicola, ed avrei fatto bene: avrei risparmiato tempo e soldi. dall'esordio ad oggi è cambiato, si è evoluto, ma purtroppo in peggio. nel primo film si mostrava ancora derivativo e poco personale, ma col secondo aveva dimostrato di bruciare le tappe per raggiungere le peggiori vette del mondo: quelle delle pretenziosità, ed infatti piace a tutti quegli imberbi che si atteggiano a novelli enrigo ghezzi arrivando ad usare nello scritto lemmi che solitamente non usano, perdendosi in panegirici utili solo a pavoneggiarsi, a darsi un tono.
questo cialtrone di un francese non è in grado di scrivere un film decente e nell'uso degli espedienti è pessimo: si faccia caso alla svolta, ovvero quando jessica biel si libera dal "tall man" mentre è legata alla sedia, per altro caduta per terra, dopo un intero gioco trascorso da sveglia per ritrovare il bambino, dopo aver fatto un terribile incidente con l'auto, aver preso botte, aver camminato per ore di notte nel bosco ed aver, come se non bastasse, subito da parte di un cane rabbioso dei morsi niente male. ed in un secondo, da terra, si libera: complimenti per l'espediente usato, denota grande ingegnosità.
un pregio il film lo ha: dopo poco, il tempo della fine del prologo, c'è una svolta notevole nella trama (non sto qui a scriverla, altrimenti rovino il film) che sulle prime fa pensare: "ah, però", ma è una svolta che suona talmente strana che ci si strugge pensando a dove dovrebbe andare a parare, non trovando alcuna giustificazione possibile che possa evitare il tonfo che il film lascia presagire, e così è: la svolta è ridicola, talmente discutibile a livello morale che, mentre jessica biel si giustifica, o mentre la ragazzina muta si spiega, non si può non mettersi a ridere AHAHAH in modo barbaro. e ciò accade perché in testa pascal ha un messaggio da dire e qualcosa da raccontare, e questo naturalmente è un bene, ma tende sempre a darsi molte arie, vuol farsi considerare un autore, e soprattutto non essendo in grado di sceneggiare il soggetto incappa in scelte risibili e amatoriali che si rivelano ridicole, sfociando nel comico-involontario. e ci si sente come quando, dopo aver passato la giornata ad insegnare, ci si imbatte negli studenti ritardati e, a volergli bene, si risponde ai loro genitori: "suo figlio è un po' ingenuo", ma sotto sotto ridi da morire e gli vorresti raccomandare l'anffas.
la grandezza di un regista, come di uno scrittore o altro, sta proprio in questo: differenziarsi dai mediocri che non sono in grado di imbastire una storia plausibile, usando espedienti adeguati col fine di rendere il tutto credibile. altrimenti non solo il concetto perde di potenza se le scelte narrative non sono plausibili, ma si rischia di sembrare dei ritardati, come pascal. 

domenica 21 aprile 2013

welcome to the punch

welcome to the punch è un film inglese uscito qualche mese fa nel regno unito ed attualmente non si sa nulla riguardo una prossima uscita in italia.

  james mcvoy in italia tira discretamente, quindi magari in una settimana soporifera strappa anche l'uscita al cinema ed evita lo straight-to-video, però al massimo, ma proprio al massimo, da noi può incassare 2 milioni di €. è un thriller poliziesco dai risvolti torbidi in cui ci si imbatte nell'acchiapparella tra guardie e ladri ed è tutto un susseguirsi di corse mozzafiato, la rava e la fava. il problema è prevedibile ed il giochino dei buoni che forse non sono così buoni e dei cattivi che forse non sono così cattivi non regge: è tutto molto, molto prevedibile. magari in italia se vogliono spacciarlo e abbindolare la gente possono uscirsene con gli strilloni: C'E' IL REVERENDO DI THE WALKING DEAD!, ma capirete le svolte della trama in anticipo almeno di 30 minuti. tante volte dalle vostre parti dovesse uscire: non buttate i vostri soldi.

sabato 20 aprile 2013

cloud atlas


esorto a diffidare degli imberbi tesi ad asserire che l'analisi di questo prodotto sia un compito arduo: mentono, oppure sono handicappati. verrebbe da sopporre che il tracollo della meteora dei wachovski sia da imputare all'ala femminile: laurence, da qualche anno è diventato lana. persone del genere, a vederle, sembrano bizzarre, fuori dagli schemi e un po' brighellone, dunque, in linea teorica, è esattamente quello che ci si dovrebbe attendere dal mondo dell'arte (le virgolette aggiungetele voi qui e altrove): che senso ha nell'arte la prevedibilità di menti lineari come quelle degli impiegati, salumieri o autisti? l'arte è il campo degli infermi di mente: proprio perché il mondo è a misura dei fermi di mente, gli infermi tenderebbero a trovarcisi male, a tal punto da arrivare ad usare l'arte come valvola di sfogo col fine di trovare il loro posto nel mondo. a vedere questi due, sembra che ci sanità mentale ce ne sia poca, sembrano degli squinternati con la mente altrove, delle persone che stenteresti a definire tali ed a cui non metteresti in mano tuo figlio nemmeno per 10 minuti, chiaramente a meno di aver dato i natali ad erika o omar (in tal caso al limite dovresti preoccuparti, sì, ma per la babysitter). paradossalmente, dei due, si faticherebbe a stabilire chi sia il più fuori di testa e pazzo pazzo artistsa: laurence, che 15 anni fa sembrava un muratore polacco intento a bere in solitudine peroncini nei bar di periferia ed ora è una donna a tutti gli effetti ma con lo sguardo che la fa sembrar parente del joker di batman, oppure larry, obeso che faceva e continua a far spavento, il che è tutto dire. ciò nonostante, della pazzia hanno solo l'aspetto, e l'arte non ne beneficia affatto.
la bizzarria dei fratelli e delle sorelle wachovski, infatti, inizia e termina con il loro aspetto fisico discutibile, con il loro l'apparato genitale mutevole ed con i loro sguardi vitrei e persi nel vuoto, perché di artistico nella loro roba non v'è traccia alcuna. la loro ultima fatica, ed è proprio il caso di usare tale parola, dura 3 ore ed è un'impresa titanica non la realizzazione gli attori coinvolti l'infiocchettamento le scenografie, bensì solo per chi riesce ad arrivare alla fine senza addormentarsi, reprimendo la voglia di andarsene durante il film. è un'accozzaglia di merda fumante che divide in 6 dispensabilissime e bolse storie un concetto esposto in maniera banale, a tratti buonista e manierista che concerne anche l'amore universale. questo feto morto sembra abortito dalle menti, se così si possono definire, di due quindicenni che dopo aver visto il video zeitgeist decidono di ribellarsi al sistema diventando vegani, dunque iniziano a raccogliere rifiuti dall'immondizia per cucinare delle leccornie, così le definirebbero, e condividerle con i loro cricetini; sì, i loro roditori di merda che, giustamente, li rifiuteranno: sorci sì, ma la roba marcia non la mangiano mica. marciume che naturalmente sarà usato dai vegani imberbi all'insegna del risparmio per combattere il riscaldamento globale col fine di un mondo migliore. dopo la cena laverebbero i piatti usando l'acqua accumulata in una bacinella e non la getterebbero ma la utilizzerebbero per scaricare il water dopo aver fatto la cacca, col risultato di 1.avere gli stronzi nel cesso magari per un'ora perché bisogna attendere che si sia finito di lavare i piatti per poterlo scaricare e 2.il cesso unto e grasso che non mi sa di pulito. e loro, queste persone artistiche un po' speciali e fuori dagli schemi, tendono spesso a fare queste cose, a vivere in questa maniera.
alla luce del coacervo di decorticamento cerebrale che li attanaglia, dunque, questa sorta di epopea finisce col risultare raffazzonata, tende a stare in piedi molto a fatica ed è posticcia, kitsch. addirittura, dopo ben due ore di sfrangiamento di ovaie su interminabili episodi indipendenti, ripetitivi fino al parossismo e divisi per compartimenti stagni s'arriva finalmente al nocciolo della questione, e cioè alle perle di saggezza (le virgolette continuate ad aggiungerle voi, eh) del discorso di sommi segue-numero, il robot orientale, che con frasi deliranti e pompose da bambina di 10 anni offesa perché le hanno colorato il grembiule a scuola tenderebbe ad enunciare, in soldoni, che la nostra vita in realtà non è nostra, che esiste il ritorno e il tutto è governato dal karma, che ci sono i collegamenti dei sentimenti -naturalmente in primis LAMMORE- che vanno oltre il continuum spazio-temporale e della struttura nascosta della realtà. capirete da par vostro che arrivarci dopo tutto quel tempo e sentirsi pronunciare certi concetti in maniera banale e col tono della suddetta bambina offesa per il grembiule sporcato tutt'al più suscita il riso per l'ingenuità (alcune persone che lavorano con i ritardati, tendono a descrivere i mongoloidi come: "delle persone pure"), specie se il discorso in tre ore interminabili di film dura 1 cazzo di minuto ed è banale; mentre, dopo tutto quel tempo trascorso a montare la panna, serviva un discorso assaj più POTENTE. il discorso di sommi il robot, invece, l'avrebbe potuto scrivere un quindicenne, quindi tende ad espasperare anzicheno chi non suppone che niels bohr sia un tennista svedese famoso negli anni '80.
infine, la ciliegina: si sfocia nel mare magnum del comico-involontario, ed almeno si ride di gusto, persino sul titolo: cloud atlas, l'atlante delle nuvole, che è una sinfoniacca pessima, orripilante e noiosa. probabilmente, questo sarebbe il film preferito da donnie darko, se quel ragazzo esistesse.

venerdì 12 aprile 2013

vicini del terzo tipo


onestamente non è malaccio, ma da certi attori era lecito aspettarsi di più perché in carriera hanno saputo fare molto di meglio. questo è da 6,5. ci sono sì alcune scene divertenti, ma da quegli attori un po' di scenette demenziali sono il minimo sindacale... ah, credo basti questo: a tal punto ben stiller, vince vaughn e jonah hill sono col pilota automatico in questo film, che l'unica cosa davvero divertente è il negro inglese nella parte del perfetto brithis. e se l'apice è lui...

gambit


colin firth non meritava l'oscar per quella porcata de il discorso del re né lo meritava per tutto quel che ha fatto prima di allora, ma dopo 20 secondi di trailer si capiva che avrebbe fatto incetta di nomination, va be'. dunque, dopo l'oscar, ormai può fare quello che vuole e, per almeno qualche anno (poi suppongo che per fortuna le cose cambieranno tornando alla normalità) gli fanno reggere un film da solo: cosa che non era in grado di fare prima né è in grado di fare adesso. si recita addosso e, complice una sceneggiatura dei fratelli cohen sempre più alla canna del gas (prendersi 5 anni di vacanza passando il suddetto lustro in giro per il terzo mondo sfruttando, sessualmente o meno, tutti i terzomondisti ivi presenti? magari restando sobri 1 giorno ogni 1000? ne guadagnerebbero assaj), mette in scena la parte dell'inglese colto, educato, ammodino, con latenze gay (molto originale davvero) e un po' sfigatello. insomma, si dorme alla grande. l'unica nota di colore, l'unica che tiene in piedi tutto il film da sola, è lei: cameron diaz nella parte della bifolca americana bovara sempre intenta a ciancicare la cingomma. anche qui, nulla da dire: niente di nuovo, ma sa il fatto suo. il senso del film è la scena in cui cameron si mostra mezza nuda: ha passato i 40 ma, photoshop a parte, si mantiene alla grande (e sapete da anni quanto mi piacciano gli eufemismi). diciamo che tutte le ragazze presenti in sala han preso a odiarla, ed erano ragazze con 20 anni di meno, quindi fate un po' voi. il resto: calma piatta, davvero bolso e con 4 minuti divertenti in un'ora e mezza di film.

the double

quando in un film thriller manca completamente la componente thrilling il suddetto film è riuscito o meno? o meno in questo senso: pondero se sia il caso di menare. si dorme alla grande per tutto il tempo, perché dopo, non esagero, 25 minuti si è capito già dove andranno a parare, quindi tu sei lì che dici al giovane agente segreto: "coglione, se ci arrivo io che ho i piedi gonfi e son qui in preda alla stanchezza sul divano, possibile che non ci arrivi tu, che sei un giovane agente super segreto e grande mega orgoglio lì a langley?? eh, idiota?". la cosa peggiore di questi filmacci è la presa per il culo: disseminano con la nonchalance di un elefante in una cristalleria dei particolari che all'apparenza sembrano insignificanti, ma in realtà sono tesi a svelare le sorti del film. e proprio perché sembrano insignificanti, o messi lì per caso, risultano goffi e pacchiani: li noti al volo e ti chiedi come mai abbiano perso tempo con certi particolari, se non c'entrano niente (e infatti poi c'entrano e come). e niente, alla fine per lo meno risparmi sui sonniferi, o sullo yager utile a dormire. un pregio quest'immondizia ce l'ha.  richard gere è morto. 


 the double

C.S.I. miami


la cosa pietosa di csi miami è che è ambientato in una delle 2/3 città americane dove circola più droga e questi sono tutti teletubbies. di più: pure i giovani, al termine della puntata, dicono a quelli della scientifica che, sì, sono stati degli scavezzacollo, ma ora hanno imparato la lezione e la droga il sesso e l'alcol non sono mai la risposta, meglio andare in chiesa, lavorare e sfornare pargoletti. a quel punto, converrete che per non vomitare non rimane altro da fare che lanciare il tv dalla finestra. caruso è caduto proprio in basso.